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Danilo Gallinari: “Non vedo l’ora di toccare il pallone!”

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Sono passati quasi due mesi da quando l’emergenza per il Coronavirus è esplosa in Italia e un mese e mezzo dalla sospensione di tutte le attività anche negli Stati Uniti. Sembra passata una vita, eppure oltreoceano, così come da questo lato dell’Atlantico, si cerca di mantenere una parvenza di normalità, attenendosi ai vari dettami per tornare a poco a poco alla vita di tutti i giorni, e Danilo Gallinari è sta questi.

I giocatori di pallacanestro, confinati nelle loro case e lontano da pallone e parquet, stanno cercando di mantenersi in forma, e per chi gioca all’estero c’è in più la preoccupazione per i propri cari, unita alla nostalgia di casa.

Assieme ai colleghi Juan Pedro Belmonte e Joan León del sito spagnolo SomosBasket, abbiamo avuto l’occasione di intervistare in esclusiva Danilo Gallinari, che ha raccontato, dimostrando un’eccellente padronanza della lingua, come sta vivendo questo particolare periodo.

Domanda: Te lo avranno già chiesto un sacco di volte, ma non lo possiamo evitare. Come stai trascorrendo la quarantena? La squadra ti ha proposto degli esercizi di allenamento specifici o li fai per conto tuo?

Danilo Gallinari: “La quarantena è molto particolare e strana, perché si tratta di una situazione che non conosciamo come giocatori, però una volta a settimana il nostro allenatore effettua una video-chiamata di gruppo, nella quale ci alleniamo con tutta la squadra, tutti i giocatori. Io sono fortunato perché la mia fidanzata è qui con me, quindi non sono solo. Ad esempio, mia mamma è da sola in Italia, ed è una situazione molto dura”.

Italia e Spagna sono stati i primi paesi a soffrire le conseguenze del COVID-19 in Europa; come ti sei sentito quando sono iniziati i primi casi?

“È stato terribile, una sofferenza per me; perché, come ho detto, la mia famiglia e mia mamma si trovano in Italia. Credo sia un po’ come in Spagna, visto che abbiamo una cultura simile, e ora si trovano più o meno nella stessa situazione per il virus: la peggior situazione di tutta Europa. Credo quindi che quello che si vive in Spagna e Italia sia terribile”.

Abbiamo visto che ti sei coinvolto molto in questa battaglia, donando kit sanitari sia a Oklahoma City che in Italia. Sei stato uno dei primi a fare questo passo e a dare esempio. Come stanno rispondendo sia a Oklahoma che nel tuo paese?

“Credo che la risposta sia buona, sia in Italia che a Oklahoma. Credo che noi, in quanto giocatori, ci troviamo in una posizione nella quale dobbiamo aiutare la gente e gli ospedali locali. La situazione sta migliorando: in Italia i numeri sono sempre più incoraggianti, e anche qui ad Oklahoma City”.

Credit: OKC Thunder

In molti campionati europei danno per scontato che, anche se ci vorrà un po’ per riprendere con le partite, saranno senza pubblico, e sembra che in NBA sarà lo stesso. Avete parlato di quest’aspetto tra di voi? Sarà più difficile motivarsi per vincere partite?

 “Sicuramente sarà molto difficile trovare la motivazione, però credo sia necessario giocare senza tifosi, perché giocare in una situazione perfetta è impossibile. È un’idea strada ed incredibile, sicuramente nuova per noi giocatori, perché senza pubblico ovviamente sarà duro per tutti, però sarà necessario”.

Sappiamo che sei una voce molto attiva del sindacato dei giocatori, avendo anche il presidente Chris Paul nello stesso spogliatoio. Si è parlato parecchio dei problemi economici che molti giocatori stanno avendo in questo periodo; come state gestendo quest’aspetto da dentro?

“Sì, io e Chris abbiamo parlato molto, sia per noi, che per la squadra, ma anche per tutti i giocatori dell’NBA. Il problema economico è ovviamente molto grande, perché è un problema sia della propria NBA, che dei giocatori. L’NBA è un grande business, anche per i giocatori. Chris dice che ha soldi in banca e non per altre cose, questo è fondamentale!”

Cambiando argomento e parliamo un po’ di pallacanestro. Sei stato protagonista di una delle trade dell’estate che ti ha portato a Oklahoma City dopo due stagioni ai Los Angeles Clippers. In molti pensavano che, dopo le partenze di Westbrook e Paul George, non avreste raggiunto i Playoff, però questa stagione è stata sorprendente. Avevate la sensazione di dimostrare ai critici che si sbagliavano? Come puoi spiegare i grandi successi ottenuti fino ad ora?

Effettivamente, stavamo vivendo una stagione incredibile. Non si sapeva che avevamo una squadra molto valida, anche se non credo a tal punto di potersi giocare il quarto posto nella Western Conference, però per qualificarti per i Playoff ovviamente sì. Con la stagione sospesa è peggio per noi, perché stavamo vivendo una stagione davvero speciale. Il nostro miglior giocatore è evidentemente Chris Paul”.

A Oklahoma City c’è un roster molto equilibrato, con veterani importante come te o Chris Paul e giovani promettenti come Shai Gilgeous-Alexander o Darius Bazley. Quanto credi siano importanti le vostre voci in spogliatoio per aiutare i giovani a crescere?

“In questi casi, la voce di noi veterani è fondamentale, molto importante: tutti i giorni e in tutti gli allenamenti che effettuiamo. Siamo fortunati, perché i nostri giovani sono giocatori intelligenti che ascoltano molto, e quindi fanno parecchio caso a me e a Chris”.

Vediamo che te la cavi bene con lo spagnolo, dove lo hai imparato? Sei in relazione con i giocatori spagnoli dell’NBA?

 “Non è vero [sorride]. Il mio segreto è proprio la relazione con i giocatori spagnoli in NBA, perché a New York avevo giocato con Sergio Rodríguez, poi a Denver con Rudy Fernández e Juancho Hernangómez, e con loro parlavo in spagnolo tutti i giorni. Ho provato anche a parlare in italiano con loro, ma mi hanno detto che ho bisogno di parlare in spagnolo tutti i giorni, così posso fare un’intervista con voi! Comunque, non è vero che parlo bene… ho comunque anche amici argentini e ho anche viaggiato molto in vita mia, come in Messico, Ecuador, Perù e altri posti dell’America Latina, quindi in queste occasioni ho sempre parlato in spagnolo. La mia fidanzata parla spagnolo meglio di me!”

Sei uno dei giocatori europei che è riuscito a trionfare in NBA. Vediamo sempre più europei ricavarsi uno spazio nel campionato come Luka Doncic, Porzingis, Giannis… Credi che la mentalità dei franchise sia cambiata?

“Credo di sì. I tempi sono cambiati, perché adesso effettivamente ci sono parecchi giocatori europei e internazionali. La competizione dell’NBA è estremamente globale, e gli scouts viaggiano tutta la stagione per analizzare i vari talenti che ci sono in Europa. È un campionato completo, molto globale”.

Nello stesso modo, ora parecchi ex giocatori NBA decidono di tentare la sorte in Europa e riescono a rinascere giocando in Eurolega ad altissimi livelli, come Shane Larkin o Mike James, dando vita a squadroni potenti. Potremo vedere in un futuro un maggior equilibrio tra squadre NBA ed europee? 

“Credo di sì. Credo che il futuro dell’Eurolega sia radioso e con molta speranza, perché è il secondo miglio campionato del mondo, e la qualità sta migliorando stagione a stagione. Credo che la scuola europea sia la migliore per iniziare poi una carriera in NBA, meglio che i College e la carriera universitaria”.

Nei prossimi giorni sarà possibile tornare ad allenarsi in squadra negli Stati Uniti, potrai finalmente tornare in palestra?

Sto attendendo maggiori dettagli da parte della squadra. Poi ovviamente dipenderà dalla zona, perché ad esempio la situazione qui a Oklahoma è differente rispetto a quella di New York. Quindi noi probabilmente potremo tornare ad allenarci, ma non a New York. Speriamo di poter ricominciare, perché ho bisogno di toccare il pallone! In casa non ho potuto allenarmi con la palla”.