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La nuova vita dei San Antonio Spurs e la seconda giovinezza di coach Pop

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A San Antonio, Gregg Popovich non e’ solo l’head coach dei San Antonio Spurs. L’uomo capace di cambiare le sorti di una franchigia, capace di portarla al titolo ben 5 volte e plasmare giocatori come Tim Duncan, Tony Parker, Manu Ginobili (scelto addirittura alla fine del secondo giro, da quasi carneade alla Viola Reggio Calabria) in giocatori da Hall of Fame.

No, coach Pop, figlio di immigrati della ex-Jugoslavia (e questo spiega anche molto della sua conoscenza ed apertura mentale cestistica) e’ un’istituzione da queste parti. Da assistente allenatore nell’87-88, sotto il grande amico Larry Brown, a general manager nel ’94 e poi auto-nominatosi head coach nella stagione 96-97, gli manca solo il ruolo di giocatore nella franchigia texana per poter dire di aver coperto tutto il copribile. L’uomo che ha mandato Rodman ai Bulls in cambio di Perdue. L’uomo che lascio’ fuori Duncan, Parker, Ginobili e Green in una diretta tv nazionale solo per fare un dispetto a Stern e a tutto l’establishment. L’uomo che ha dato un incarico come assistant coach ad una donna (Becky Hammon), la prima nella storia dell’NBA. L’uomo dalla ironia pungente e dal carattere spigoloso, difficile da intervistare ma amato da (quasi) tutte le persone che hanno lavorato con lui, negli anni, inclusissimo il nostro Marco Belinelli, che con lui ha vinto il titolo nel 2014, l’ultimo della dinastia di Tim Duncan.

Dopo la dipartita dei Big Three (Duncan, Parker, Ginobili), gli Spurs si sono dovuti trovare di fronte a scelte difficili ed obbligate, di ricostruzione. Gregg Popovich e’ da ormai quasi 25 anni l’allenatore di San Antonio. Molte sono state, negli ultimi anni, le voci che ventilavano un avvicendamento di Popovich alla guida degli Spurs, chi pensando sarebbe capitato con la Hammon, chi con altri piu’ quotati e navigati allenatori della National Basketball Association. Eppure lui e’ sempre rimasto li’, forte della sua istituzionalita’ e genialita’. Perfino dopo la gestione criticatissima dell’infortunio a Kawhi Leonard nel 2018, poi spedito ai Raptors senza troppi complimenti (con Toronto che ringrazia e passa a ritirare il titolo l’anno dopo).

Eppure lui ci crede, ricostruisce la squadra attorno ai due big rimanenti, DeRozan ed Aldridge, facendo emergere i talenti di Dejounte Murray e soprattutto di Derrick White e, quest’anno, di Keldon Johnson. Facendo diventare centro sempre piu’ “vero”, e nel suo di immaginario alla Tiago Splitter o Fabricio Oberto (scusandoci per la bestemmia), l’austriaco Poeltl, lui che di centri se n’e’ sempre inteso – a partire dalle Twin Towers dei primi successi Spurs.

Non posso decidere tutto per voi. Non ho 14 timeouts. Mettetevi d’accordo voi e parlatene.

(Gregg Popovich rivolto alla squadra durante un timeout)

Dopo la partecipazione alla bolla di Orlando nella scorsa stagione, poi finita male ma combattuta fino all’ultima partita, qualcosa evidentemente si e’ mosso nella testa di Pop e dei giocatori. Paradossalmente, per quanti pensassero fosse tempo che San Antonio si rifacesse nuovamente il look, magari liberandosi di un peso salariale come DeRozan o un peso piu’ infermieristico che salariale come Aldridge, dicevamo paradossalmente – ma neanche troppo – no, coach Pop e’ andato controcorrente, e i due big sono ancora li’. A far crescere una squadra che oggi e’ sesta ad Ovest, davanti a squadre ben piu’ quotate come Dallas, New Orleans e Denver. Con un’impronta sempre votata alla difesa, come e’ nello stile di Popovich che – diciamocelo – sa bene come si fa a vincere. San Antonio e’ prima nella lega per palle perse con solo 11.1 a partita, nei punti concessi su palle perse ed e’ seconda in falli fatti (dopo Orlando) a testimoniare anche la tenacia difensiva che l’ex agente della CIA ha trasmesso anche a questo gruppo.

Al momento della stesura di questo articolo gli Spurs vengono da una striscia aperta di due vittorie e stanno assistendo alla crescita di giocatori come Murray e Johnson – escludendo White per problemi di infortuni – senza dimenticare Walker IV e il gia’ citato Poeltl. San Antonio si candida, indubbiamente, ad un posto nella post-season se non diretto (possibile se non probabile un rientro nei ranghi di Denver e Dallas) certamente attraverso il play-in tournament, e questo sarebbe gia’ un grande passo avanti per i texani. Che punteranno a liberarsi di qualche contratto pesante nella prossima off-season per puntare a qualche nome piu’ “fresco” da inserire in un contesto gia’ sulla buona strada.

Dejounte Murray e’ secondo in tre categorie statistiche – punti, rimbalzi ed assist, Johnson e’ al suo career high di punti con 14.5 a partita, DeRozan ed Aldridge stanno facendo da “chioccia” a questi giocatori che si sono affacciati al circo NBA da relativamente poco tempo. Ma chi sapra’, e chi potrà, far davvero fare il salto di qualità a questa squadra, anche dopo 25 anni, e’ sempre ed ancora lui, Gregg Popovich. Che, nascosto dietro il suo barbone bianco e alla sua espressione perennemente seccata, non ha voglia di smettere di sognare.