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Home NBA LeBron a 360°: “Ritiro? Ci penso. La mia generazione una delle migliori di sempre. Rio mi tenta”

LeBron a 360°: “Ritiro? Ci penso. La mia generazione una delle migliori di sempre. Rio mi tenta”

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LeBron James

LeBron James ha rilasciato una lunga intervista, pubblicata stamani da “La Gazzetta dello Sport”, in cui tratta i più svariati temi del mondo NBA, e non solo. Queste le sue più significative dichiarazioni:

Ha pensato al momento in cui toccherà il ritiro anche a lei? «Sarei un bugiardo se rispondessi di no. Se ne va Kobe, Timmy (Duncan) e Garnett ci stanno pensando. Insomma, è parte di una generazione che ci ha preparato la strada, che abbiamo ammirato. Io, Wade, Bosh e gli altri del draft 2003 siamo l’onda successiva e dunque i prossimi a lasciare».

Che rapporto ha con Kobe: siete stati anche nemici? «La nostra relazione si è evoluta nel corso degli anni ed è migliorata dopo ogni stagione. Chiaro che nello sport si cerca di inventare rivalità e far passare le nostre sfide come una guerra. Ma non è così. Abbiamo dei background differenti, abbiamo avuto successo in modo diverso, ma c’è un reciproco ed enorme rispetto. E mi ha appena regalato un paio di sue scarpe che metterò nello scaffale dove tengo tutti i trofei».

La classe dello ’03, come l’ha definita lei, Anthony, Wade, Bosh, resterà per sempre una delle migliori? «Forse. Non sono la persona più imparziale sull’argomento (ride). Però, mi pare un giudizio oggettivo. Basta guardare i nostri curriculum e quello che abbiamo combinato in questi 13 anni. Abbiamo vinto campionati, titoli di Mvp, una lunga serie di partecipazioni all’All Star, ori all’Olimpiade. Siamo ancora qui, con nessuna intenzione di fermarci».

A proposito, ha già in mente quando potrebbe andarsene in pensione? «No. Credo di avere nelle gambe un po’ di anni a grande livello con tanti traguardi da conquistare. La decisione di ritirarsi è un po’ come fare la proposta di matrimonio alla tua fidanzata: non sai esattamente quale sia il momento giusto. A un certo punto ritieni semplicemente che quel momento sia arrivato».

Di quale generazione fa parte Steph Curry? «Della stessa di Durant, Derrick Rose, James Harden. E’ quella che viene dopo di noi, ma sono nostri avversari. E adesso ci sono i giovanissimi come Porzingis e Towns. La Nba è fantastica proprio perché ha questa capacità di produrre continuamente grandi giocatori».

Come si battono i Golden State Warriors? «Sarebbe un errore pensarci adesso con, almeno, spero, più di tre mesi d’anticipo (si riferisce alle Finali, ndr.). Quello che possiamo fare è concentrarci sulla prossima gara. Per il resto, dobbiamo solo a lavorare e migliorarci e allora avremo delle chance».

Viene spesso criticato. Per esempio, l’hanno accusato di aver fatto cacciare l’allenatore, David Blatt. Infastidito. «Non posso preoccuparmi di quanto mi succede attorno. Alla fine contano solo le vittorie e sconfitte».

Non ha mai nascosto la sua ammirazione per Gregg Popovich. «E’ una delle menti più brillanti del nostro basket. Mi piacerebbe assistere a qualche allenamento e ascoltare cosa dice ai suoi giocatori. Ha più esperienza di me, ovvio, ma anch’io ho un buon quoziente d’intelligenza. Li ho affrontati tre volte nelle Finali (due sconfitte, ndr.), nutro profondo rispetto per quanto ha fatto in tutti questi anni e mi sono sempre divertito a guardare da lontano lui, Duncan e questa eccezionale franchigia».

In chiave corsa al titolo Nba, può essere indicativo vedere che delle prime quattro del campionato, Cleveland era l’unica ad avere all’Ali Star Game un solo giocatore: lei. «E’ vero, ma dobbiamo accettarlo e usarlo come un ulteriore stimolo a migliorare. Ci tornerà utile durante la lotta per l’anello».

Lei gioca tantissimi minuti, ma sembra ancora freschissimo. Ha un segreto particolare? «Disciplina, applicazione e lavoro duro. Non c’è niente che possa battere ciò che il basket ha regalato alla mia vita, per questo gli concedo tutto me stesso: ogni giorno».

Al punto che spegne spesso i contati con il mondo: è vero che non vede in tv nessun evento sportivo? «E’ vero. E non ascolto trasmissioni che abbiano come tema lo sport alla radio. Non ho neppure visto il Super Bowl. Ero davanti alla tv ma a guardare cartoni animati con i miei figli».

Però osserva con attenzione ogni tipo di statistica analitica dei suoi avversari. «Non durante la regular sea-son, però: se no impazzirei. C’è tantissimo altro di cui devo occuparmi. Ma nei playoff, quelle cifre diventano importanti. Mi concentro soprattutto sui giocatori che devo marcare: le loro tendenze, cosa gli piace o non gli piace fare sul parquet. Perché sono convinto che sia la difesa la parte più importante del nostro basket».

Andrà all’Olimpiade di Rio? «Sono tentato, perché amo rappresentare il mio Paese. L’ho fatto da Atene 2004 in poi. Ma non ho ancora preso una decisione definitiva»

Photo by Keith Allison