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Belinelli conquista i Bulls, “Io, stella nella casa di Jordan”

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E’ la sua sesta stagione nel campionato più importante al mondo ma questa 2012/13 sembra l’annata giusta per la definita consacrazione di Marco Belinelli. In estate ha deciso di lasciare i New Orleans Hornets, con i quali ha trovato la gloria dopo anni di chiaro scuro (più scuro che chiaro) con i Golden State Warriors e poi a Toronto, per approdare in quella franchigia che rappresenta il sogno di ogni appassionato di basket: quei Chicago Bulls con i quali sua maestà Micheal Jordan ha scritto la storia. Orfani del fenomeno Derrick Rose i tori rossi sono chiamati ad una stagione “anonima” affidandosi all’estro di Nate Robinson e alla sostanza di Hinrich in attesa che DR1 torni sul parquet giusto in tempo tentare il miracolo. Oltre agli esperti Rip Hamilton, Loul Deng, Carlos Boozer, Joakim Noah e Taj Gibson troviamo anche il nome dell’ex fortitudino. L’esperienza di Belinelli con la maglia dei Bulls è improvvisamente esplosa in seguito all’infortunio – l’ennesimo della stagione di Chicago – di Richard Hamilton. Coach Tim Thibodeau si è fidato del suo numero 8 e Marco sta ripagando la sua fiducia con una serie di prestazioni piuttosto importanti, in ultimo i 19 punti contro i Nets ed il canestro sulla sirena che ha regalato la vittoria ai suoi. Un sogno, stella e protagonista nella squadra del grande Jordan… Belinelli si racconta ai microfoni de La Stampa, ecco alcuni spunti: «Sono stato contentissimo quando sono tornati a cercarmi – i Bulls cercarono già Belinelli al termine del suo primo anno agli Hornet –. E ho preferito scegliere una squadra forte, al di là dei soldi che mi offriva». Anche per i Bulls, dunque, ha prevalso il senso di riconoscenza da parte della guardia che oggi veste il numero 8. «L’impatto con la realtà dei Bulls è stato molto forte: giochiamo nello stesso palazzo e ci alleniamo nella stessa palestra in cui ha fatto la storia Michael Jordan. Entrare in campo con quella stessa musichetta non può che far tornare in mente tutti quegli anni magici». Quella musichetta è Sirius degli Alan Parsons Project: ogni appassionato di basket sa che quelle note erano il preludio dell’ingresso in campo dei Bulls che vinsero sei titoli dal 1991 al 1998. «E oggi siamo noi a entrare in campo con Sirius. Così come molte delle persone che lavorano all’interno dell’organizzazione sono le stesse di allora: sapere che chi massaggia me e Joakim Noah è la stessa persona che metteva le mani su super-star come Jordan, Scottie Pippen, Toni Kukoc o Dennis Rodman fa un certo effetto, ti fa sentire parte di qualcosa di importante. Kukoc e Pippen si vedono ancora oggi in palestra».

«Segnare tanto è una cosa naturale per me, ma cerco di essere il giocatore più completo possibile e sempre molto aggressivo, perché a Chicago sta in campo prima di tutti chi difende». Il viaggio di Marco Belinelli nella Nba finora è stato lungo 7.816 km, da San Francisco a Toronto, poi New Orleans e infine Chicago. «Mi sono innamorato di questa città, ho già trovato i miei posti preferiti e ci sto benissimo. Non vedo l’ora di giocare insieme a Derrick Rose, che sta lavorando durissimo per tornare presto in squadra. E uno dei più forti della Nba, atleticamente in pochi sono come lui, è veloce, creativo, fortissimo sul pick and roll. Spero di restare qui a lungo, ma il mio contratto è per una sola stagione. Dovrò lavorare tanto per meritarmi una conferma»