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Gianluca Basile: “La pallacanestro italiana? Perde pezzi ogni anno e le squadre si indeboliscono.”

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Gianluca Basile, per tutti, è il fondatore del “tiro ignorante”: il tiro senza senso, forzato. “Baso” si è concesso in un’intervista a La Repubblica e ha fatto alcune considerazioni su di sé, sul momento del basket tricolore e sul tiro, appunto, “ignorante”.

Chi è stato in campo, Gianluca Basile. “Un istintivo che sapeva ragionare. So che è una contraddizione. Sono stato una contraddizione”.

I tiri ignoranti. “Una bella storia, nata in stanza con Andrea Meneghin. La definizione, dico. A noi, malati di calcio, piacevano i mediani spaccagambe. Quei giocatori che facevano legna, che intervenivano con “ignoranza” sulle caviglie. Ignoranti, ci piaceva l’aggettivo. Rinunciare alla logica, talvolta, è uno dei modi per evadere dal sistema. Tirare senza senso, forzare, è la riserva indiana del talento. A noi europei non piace e a me piaceva da morire. Ma posso aggiungere che il basket, senza un sistema, non esiste. O meglio, esiste: è il basket NBA.”

Giocatori “ignoranti” in giro per il mondo. “Diversi. Curry è uno che esce dal sistema e tira, senza pensarci troppo, e ha una meccanica di tiro incredibile, il suo rilascio della palla è spaziale!”

Basile si definisce un difensore. “Esatto. Io adoravo difendere duro, mi esaltavo più che nel tiro. Anche perché all’inizio non ero per nulla un tiratore. Un mio presidente a Reggio Emilia mi prendeva in giro: diceva che finché avevo il piede sulla linea o dentro l’area, la palla entrava. Se facevo un passo indietro, oltre la linea dei tre punti, per un fatto psicologico la palla non entrava mai. Il tiro è un insieme di cose: condizione fìsica più condizione mentale più capacità di capire il momento della partita. Bisogna essere reattivi e cattivi. E saper sopportare l’idea di sbagliare. Ricominciare subito a tessere la tela. Le occhiatacce degli allenatori dopo un tiro sbagliato me le ricordo tutte, dalla prima all’ultima, da Ruvo a Capo d’Orlando passando per Reggio Emilia, Fortitudo, Barcellona, Cantù, Olimpia. Quello che ho vinto, il molto o il poco, è stato grazie a quel che sono riuscito a fare per i miei compagni e loro per me.”

Sul perchè ha deciso di non allenare. “Perché sto bene così, mi piace la vita del “pensionato” e dell’appassionato semplice.”

Dove sta andando il basket. “Nel cesso. Il basket italiano, intendo: perdiamo pezzi ogni anno, le squadre si indeboliscono perché non hanno più una spina dorsale stabile, cambiamo moltissimo ogni anno e poi importiamo americani e pretendiamo, come dicevo, di adattarli. Per me, non devono essere più di due per squadra. Il ruolo dell’allenatore deve tornare a essere centrale. Qui invece speriamo di risolvere tutto con un americano da 30 punti a partita.”