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Siena, è finita un’era unica. Ora due imperativi: ripartire e tornare al più presto in alto

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Thomas Rees Siena

Il 27 giugno, giorno di gara7 tra la EA7 Milano e la Montepaschi Siena, non rimarrà scolpita nella mente degli appassionati di basket soltanto come la data della vittoria milanese dello scudetto, che torna in Lombardia dopo 18 lunghi anni. Il 27 giugno è la data spartiacque della pallacanestro italiana degli ultimi 15 anni: Siena, dominatrice cannibale del movimento, capace di inghiottire 8 titoli nazionali tra cui ben 7 titoli

consecutivi tra il 2007 e il 2013, 5 coppe Italia consecutive tra il 2009 e il 2013, 7 supercoppe Italiane tra il 2004 e il 2013, 4 Final Four di Euroleague, una Coppa Saporta e 12 campionati giovanili, cede definitivamente dopo 10 lunghi anni lo scettro del potere all’avversario che più di ogni altro ha cercato di detronizzarla. Si apre così una nuova fase: Milano raccoglierà l’eredità senese diventando la capofila del basket nostrano, mentre Siena uscirà tristemente di scena costretta dalle note vicende finanziarie a ripartire dalle categorie minori, col sogno di tornare al posto che più le compete. Una staffetta generata da una lotta sportiva agguerrita e avvincente fino all’ultimo tiro: la Mens Sana è sembrato un mostro quasi immortale, deciso a non mollare niente fino all’ultimo, abbattuto alla fine dal letale buzzer beater di Jerrels e dalla lunga lotta di gara7. Tutto questo la dice lunga della forza mentale e della preparazione tecnica di una società, di un ambiente e di uno staff che da più di 10 anni fa ha piantato delle radici stabilissime che hanno fruttato un ciclo quasi leggendario e probabilmente irripetibile, capaci di nutrire anche quest’anno le speranze e le forze di un gruppo encomiabile per orgoglio, competenza e voglia di lottare. Il segno lasciato da Siena nel nostro basket è di quelli profondi, perché parte da lontano, da un progetto di siena, tifosicrescita di una società che fino agli inizi degli anni 2000 non era storicamente tra le più nobili o titolate, ma che con la forza, la lungimiranza e la passione ha saputo imporsi prima in Europa e poi in Italia; da qui solo trionfi, e uno sponsor, il Monte dei Paschi, che ha progressivamente investito tanto vedendo però ben ripagati i propri sforzi. La favolosa storia di Siena è una storia di grandi allenatori: partiamo da Ergin Ataman, il primo a credere nelle potenzialità del progetto e della società. L’allenatore turco, accolto a inizio 2001 da generale diffidenza, annunciò nella prima conferenza stampa che avrebbe vinto lo scudetto: lo scudetto non arrivò, ma i biancoverdi centrarono una storica finale di Coppa Italia contro la grande Virtus Bologna di Ginobili, Rigadeau e Griffiths, la Coppa Saporta contro il Valencia (vittoria apripista della storia senese) e l’anno dopo la Final Four a Barcellona, giungendo terzi. Poi Recalcati, coach del primo storico scudetto senese e della seconda Final Four consecutiva (a Tel Aviv, quarto posto): 10.000 spettatori festanti riempirono fino all’inverosimile nel giugno 2004un palazzetto futuro teatro di altri grandi successi. Poi Simone Pianigiani, attuale tecnico della nazionale, simbolo del sistema Siena (allenatore nato e cresciuto in società) e dal 2007 creatore di una macchina cestistica spaventosa per fame, continuità, cattiveria, vincitrice di 6 titoli consecutivi , 4 Coppe Italie e 5 Supercoppe, e capace di raggiungere altre due Final Four (Madrid e ancora Barcellona, altri due terzi posti); infine Banchi, fondamentale vice di Pianigiani, ora campione anche con Milano, protagonista di un titolo inaspettato dopo tanti sacrifici economici e per ultimo Crespi, che nella bacheca ha aggiunto solo la Supercoppa ma si è fatto amare forse più di tutti gli altri per lo spirito e la grande umanità dimostrata nell’anno più difficile della storia mensanina. Una storia fatta anche e soprattutto di grandi campioni sul campo, totalmente identificati nella città e nello spirito di squadra: da Stefanov, Ford, Turkcan, Chiacig, Kakiouzis, Thornton, Galanda e Vanterpool, a McIntyre, Forte, Carraretto, Kaukenas, Sato, Stonerook, Lavrinovic. E ancora McCalebb, Bobby Brown, Moss, Hackett, Andersen, Ress. Siena è stata per anni una fabbrica di vittorie, un ordigno perfetto approntato pezzo per pezzo dal general manager, poi presidente Ferdinando Minucci, e da lui stesso poi distrutto. Un controverso personaggio del nostro basket, i cui meriti tecnici e sportivi restano, seppur a fronte di gravi errori e irregolarità gestionali delle quali sarà chiamato dalla legge a rispondere. Il 4 luglio sarà il giorno che decreterà la fine di questa gloriosa avventura e un nuovo inizio, che dovrà necessariamente gettare le basi su questo patrimonio di successi e passione se vorrà tornare a essere grande. Siena vive di basket, il basket non può fare a meno di Siena.

 

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