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Houston (non) abbiamo un problema. Come i Rockets sono decollati

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James Harden è la superstar perfetta per come vorrei allenare.È stato molto facile perché lui vuole fare ciò che io gli posso offrire. Siamo probabilmente al primo di dieci passi che dobbiamo fare per sfidare i campioni, ma vediamo il sentiero.

Parole e musica di Mike D’Antoni che quando ha accettato la panchina dei Rockets sapeva che dipendeva soprattutto da quel signore dalla barba iconica che parla a un tono di voce che sembra più un perenne susssurro.

Esistono due macro categorie di allenatori: i “normalizzatori”, termine molto in voga iultimamente, sono quelli che sanno cavare il sangue dalle rape, ottimizzano quello che hanno. Poi ci sono i “visionari”, o chiamateli voi come meglio preferite. Questa categoria di allenatori vive con il pesante fardello di idee meravigliose e, come tutte le persone con una visione, hanno bisogno di un contesto che li permetta di esprimersi al meglio. Questi allenatori sono come pazzi che vanno assecondati per il bene loro ma anche di chi ci si rapporta.

Chissà se D’Antoni sapeva, quando ha iniziato il suo nuovo progetto, che a Houston trovano casa anche gli Houston Dynamo. Chissà se ha mai pensato di scipparlo, a quella squadra di calcio di un campionato mediocre, il nome. Sarebbe perfetto per questa Houston, il nickname Dynamo. Anche Rockets non è male a pensarci bene ma il razzo va veloce sempre, non si ferma, mentre Houston va a ritmo del suo barbuto jazzista.

Marsalis, coadiuvato anche da gente come Abdel-Jabaar, ha sempre sostenuto la similitudine tra basket e jazz: alla base, si diceva, c’era sempre il ritmo che ci mettevi. Il ritmo di Harden non è per forza quello della squadra dei sogni di D’Antoni eppure, come nei matrimoni ben riusciti, i cogniugi sanno appianare anche le differenze. i Rockets non entrano alla velocità dei Suns di Nash ma hanno nel loro leader da Arizona un contributo offensivo totale. Harden che, nella nuova incarnazione da “play” fa e disfà. Dalle sue mani può partire indifferentemente un punto o un assist. Se Houston non supera praticamente mai i tre passaggi è perchè in  questo la visione di tecnico e braccio armato collimano. Harden è passato attraverso molte vite cestistiche. Lui e Westbrook erano entrati nella lega come specialisti difensivi e oggi decidono liberamente quando omettere quella fase e quando no. Oggi Harden è il re degli assist nella lega e non ci avrebbe scommesso nessuno se non un altro ex play, ma molto più classico come Michael Antony D’Antoni. Harden ha capito che il suo altruismo può rendere sopportabile la sua pigrizia difensiva ai compagni e ne ha beneficiato tutto l’ambiente Rockets. Capela è ben felice di sobbarcarsi l’intera difesa al ferro se poi sa che gli arrivera l’alzata per firmare un insperato ventello. Howard l’anno scorso era un po’ meno entusiasta ma anche perchè la chimica con il Barba era diversa e questa negatività si perpetrava sul gruppo.

D’Antoni guarda la sua macchina e vede che, per la prima volta dopo tanto tempo, assomiglia a quella che desiderava dopo che per troppo tempo si era dovuto abituare a macchine eleganti ma o vecchie o con qualche difetto di fabbrica. Ora ha una squadra che apre il campo grazie anche a giocatori da lui revitalizzati come Anderson e Gordon e, anche giocatori che sulla carta non c’entrerebbero nulla, come il tignoso Beverly o persino Nenè, si rivelano optional necessari, come quando con la macchina ti danno un navigatore e scopri che può essere più utile di quando pensassi.

La strada che porta al titolo è lunga e accidentata e soprattutto c’è una discreta fila di macchine davanti da sorpassare in coda. Poco importa a D’Antoni,  anche se dovesse rimanere dietro qualche station wagon alla fine della corsa, nessuno gli potrà togliere la soddisfazione di aver corso con la macchina che piaceva a lui.