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Fernando Martin, El Dièz che ci lasciò sul più bello

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realJ.R Smith, Rudy Fernandez, Nate Robinson, Dwight Howard. Quello presentato non è (solo) una lista di quattro dei più controversi protagonisti della palla a spicchi degli ultimi anni, questa è la lista dei partecipanti alla gara delle schiacciate del 2009. J.R. Smith inizia per primo: totalizza 43 punti al primo round e si siede, non è certo lì per vincere e, come sappiamo, ha altre priorità. Si alza dopo di lui Rudy Fernandez. Neanche lui è esattamente il favorito, forse l’Nba l’ha messo lì più perchè è europeo e bisogna ricordare che la lega ha sempre più un animo globale. Deve essere un’esibizione interlocutoria prima del duello vero tra Howard e Robinson. Il maiorchino si leva la sua canotta dei Portland Trail Blazers. Sotto ne ha un’altra, sempre di Portland: la numero dieci, sopra c’è scritto Martin. La stessa regia della gara viene presa un pò in contropiede: Kevin Martin ha giocato allora solo a Sacramento e di altri non se ne conserva memoria. Non se ne conserva memoria in America però. Alla fine appare la grafica molto sobria che ricorda che Fernando Fernando Martin Espina è stato il primo spagnolo nella Lega. Rudy fa una schiacciata meravigliosa. palla dietro la schiena che finisce sul tabellone che funge da assist per la schiacciata di Fernandez. La giuria da a Rudy uno striminzito quarantadue, il pubblico rumoreggia per la decisione, effettivamente forse avrebbe meritato di più ma si sa che Rudy troppa simpatia non l’ha mai riscossa su un campo da basket e quindi ce l’aspettiamo tutti. Vincerà Nate Robinson e in fondo è il lieto fine che tutti volevamo.

Rudy Fernandez con la maglia di Portland di Martin, anche se nessuno se n’è accorto ha chiuso un cerchio, un discorso interrotto troppo presto. Martin era tanto ribelle ed anticonformista quanto timido finchè non entrava sul parquet: lì si trasformava e protestava con chiunque: arbitri, compagni, pubblico. Aveva il fuoco dentro, era puro nervo. Tutto per vincere, era competitivo come tutti i grandi, a sentire Lolo Sainz che lo fece debuttare nel Real Madrid. Aveva iniziato con la pallacanestro a quindici anni perchè sostanzialmente il fisico gli chiedeva di dedicarvisi, era 2 e sei e aveva un’apertura alare di 2,16. Nonostante ciò non gli mancava mano morbida,, capace come era di un gancio mortifero. Uno così non può non dedicarsi solo al basket: andrebbe spiegato a lui che negli anni si cimenta in lancio del peso, tennis da tavolo, nuoto e pallanuoto, arrivando a un passo dal firmare con l’Atletico Madrid.

Alla fine sceglie il basket e i frutti arrivano subito. A diciannove anni trascina l’Estudiantes ad un insperato titolo di vicecampione della Liga giocando da pivot titolare. Il Madrid lo chiama, la Joventut gli fa un pre-contratto ma non basta: i Blancos offrono un contratto pure al fratello Antonio e se lo portano in tournee perchè se hai uno che alla prima apparizione in maglia merengue ne mette 50 non lo puoi nascondere.

Anticonformista lo si era definito sopra. Al Real si annoiava così decide di tentare la carta NBA. Giocare nell’NBA allora per un europeo è come pensare di girare “Titanic” con la videocamera di un I-Phone, fino ad allora lo ha fatto solo il bulgaro Glouckov. Giocare nella Nba allora significava anche altre due cose: perdere la nazionale e soprattutto perdere soldi. Grazie al suo influente manager, fu scelto dai Nets nell’85 al secondo giro con la chiamata 34 salvo poi essere sedotto e abbandonato dalla franchigia allora nel New Jersey. L’anno dopo è quello buono: il 26 ottobre del 1986 esordisce con i Blazers in una sfida con i Sonics. Gioca solo 2 minuti alla fine, più che altro per fare un favore a Sixto Miguel Serrano, Manolo Lama e Fernando Laura, i tre giornalisti arrivati a seguirlo dalla Spagna. Si ruppe il naso a causa di un colpo di un compagno, il primo di diversi infortuni in primis alle ginocchia. Fernando Romay, storico pivot del Real, nel documentario dedicato a Martin lo paragona a Pizarro e Cortes e dice senza giri di parole che aveva “los huevos”. Alla fine la stagione si chiude con 146 minuti, 22 punti e 28 rimbalzi:ì. L’ NBA non è ancora pronta.

Torna a Madrid e torna decisivo: senza di lui la squadra parte da meno venticinque. La finale del 88-89 è un clasico. La prima al Palau è dei padroni di casa, Martìn ha problemi alla spalla non ce la fa, l’atmosfera è qulla della sconfitta annunciata. Poi improvvisamente arriva Martìn e dice qualcosa come:”Pringaos, no me he levantado de la cama para perder”. Non si era alzato per perdere e infatti il Madrid la serie la pareggia e ci vuole un grande Audie Norris, il grande rivale, per riportare il titolo in Catalunya dopo cinque partite. Norris-Martìn era il duello tra i due centri e i due migliori giocatori della liga. Fuori dal campo si piacevano, dentro si odiavano. Peggior sorte toccò a Drazen Petrovic che, nella famosa finale contro Caserta, arrivò quasi alle mani con Martìn che gli rimproverava di avergli rubato il palcoscenico con i suoi 62 punti.

Purtroppo se non avete sentito abbastanza parlare di Martìn è perchè, come per il compagno Petrovic, anche per Martìn la corsa è finita troppo presto il 3 dicembre del 1989. Si giocava Real-CAI ma Martìn era fuori per infortunio. Non aveva voluto comunque mancare di far sentire la sua vicinanza ai compagni. Stava andando al Palacio quando la sua Lancia Thema incrocia l’auto di tale Roberto Delgado. Delgado resta gravemente ferito per Martìn non c’è nulla da fare. I compagni ricevono la notizia mentre arrivano in spogliatoio. La partita si sospende, gli altri match si giocano.

Giocare con il dieci è tradizionalmente pesante, a Madrid ancora di più perchè Martìn in dodici anni ha fatto molto, moltissimo forse troppo, tanto che Dio gli ha chiesto di tornare prima di quanto preventivato. Quando era a Portland chiese espressamente che sulla canotta il suo nome fosse scritto con la “tilde”, l’accento sulla “i” perchè era spagnolo e voleva ricordarlo. Quando Rudy vi farà arrabbiare nella prossima partita ricordatevi il suo gesto in quella sera del 2009 e sorridete, Martìn avrebbe voluto così.