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Cleveland ha LeBron, il Re la sua legacy

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“It’s all about legacy”. Quante volte lo abbiamo sentito dire in film, libri e canzoni. È proprio nel concetto di legacy che va cercata la motivazione del ritorno a Cleveland di LeBron James. La scelta è frutto del desiderio di creare una carriera leggendaria, entrare tra i più grandi di sempre. Per farlo non bastano i titoli, la legacy non è una somma degli anelli vinti.

Sarebbe riduttivo definirla una contestualizzazione del palmares. Parliamo di un concetto filosofico dello sport, non concreto. La legacy è l’eredità che la tua carriera lascia. Il Re ha ora l’opportunità di scrivere la sua favola ed entrare nell’Olimpo dell’NBA. La decisione è stata concordata da testa e cuore: il sentimento va a braccetto con la consapevolezza di andare ad inserire il proprio talento in un contesto dalla grande prospettiva. Quando questo accade, affrontare un bivio diventa semplice. Non è un santo, come tale non va dipinto, perché il suo futuro non prevede anni di oblio, anzi. Ma non era nemmeno un demone, quando nel 2010 ha scelto la via che portava a South Beach. LeBron un cuore ce l’ha. Per anni è stato ignorato il lato umano di un fenomeno che ha sofferto. Lui, più di chiunque altro, ha subito quel divorzio. L’etichetta di perdente, che gli era stata attaccata, andava gettata via. Non aveva scampo. L’età gli ha spalancato gli occhi. A posteriori, ne siamo sicuri, probabilmente rifarebbe la scelta, ma non opterebbe per quel drammatico epilogo. La diretta televisiva ha fatto male ai tifosi dei Cavaliers, più della concreta firma con gli Heat. La città ha avuto l’impressione di essere presa in giro davanti all’intera nazione. I quattro anni trascorsi a Miami lo hanno visto vincere e alzare trofei, ma il rimorso e l’idea che qualcosa di rotto andava riparato non lo hanno abbandonato. Prima o poi sarebbe tornato a sistemare le cose. Il fatto che sia accaduto prima è merito del capolavoro inscenato da David Griffin, l’uomo che ha apparecchiato la tavola per il ritorno del figliol prodigo. La dea bendata ha fatto la sua parte, regalando alla franchigia dell’Ohio la prima scelta assoluta, trasformatasi poi in Andrew Wiggins. L’aspetto sentimentale della vicenda sta nel ritorno in pieno prime, non a fine carriera. Lo ha ribadito anche lui: “Sono qui ora perché posso fare qualcosa”. Questo James può ricomporre i pezzi, una sua versione da “veterano” tra qualche anno non avrebbe sortito lo stesso effetto. In Italia un evento del genere sarebbe stato accolto con scetticismo. Nella prima in casa avrebbe trovato uno striscione con una frase simile: “Rimani un traditore. Il nostro rispetto dovrai riconquistarlo”. Invece no, siamo negli Stati Uniti e nulla di tutto questo accadrà. Ci sarà certamente, dato che parliamo di una miriade di tifosi, qualcuno pronto a ricordargli come si è comportato, ma ritroverà l’affetto della maggioranza. Il capolavoro a livello umano non si esaurisce qui. Il grande ostacolo era l’orgoglio. Nella confusione giornalistica degli ultimi giorni, molti lo avevano inserito come fattore negativo e positivo allo stesso tempo. Dan Gilbert probabilmente guarderà in futuro la mano e vedrà brillare qualche anello, se poi avrà la forza di alzare lo sguardo e vedere attraverso lo specchio è un altro discorso. In fondo anche lui è da assolvere, nei postumi della Decision non poteva fare altro che impersonare il malcontento dell’intera città. Il Re non ha potuto affondare il colpo, solamente perché il proprietario avrebbe fatto lo stesso. Nel tormentato riavvicinamento le parti non erano prive di peccati, ecco perché nessuna pietra è stata scagliata. La rivincita LeBron l’ha ottenuta qualche giorno fa, non indossando il primo anello. Gilbert è stato costretto a ingoiare le sue stesse parole. Ad ardere all’epoca furono le magliette, oggi lo è virtualmente la lettera dell’uomo d’affari, magicamente scomparsa dal sito ufficiale. Alla fine ci ha spiazzato, l’annuncio è arrivato su Sport Illustrated, che alla vigilia non rappresentava certamente la via più accreditata. Dietro c’è un mondo, un percorso, una maturazione. Non credo di essere l’unico ad averlo indirettamente pregato di non macchiare il suo sito. Perché nella rappresentazione informatica del pianeta LeBron avrebbe stonato l’annuncio. Non ha mai desiderato possedere un blog, lo scopo principale è stato sempre quello di promuovere cause umanitarie. Sarebbe stato ingiusto usarlo per altro, a maggior ragione nel giorno probabilmente più importante della sua carriera. Anche in questo, come con Gilbert, è stato un vero e proprio esempio. Tornando ai due, le forzature in questa love story sono finite, giocatore e proprietario non devono più interpretare rispettivamente i ruoli del pentito marito traditore e della moglie offesa che nel profondo spera in un suo ritorno. Il nuovo matrimonio sta per essere celebrato, sotto lo sguardo attento del testimone David Blatt. Se vogliamo essere precisi, si tratterà solamente di una promessa: il contratto sul quale James andrà ad apporre la sua firma sarà di 2 anni a 41 milioni di dollari. Non fatevi ingannare, avrebbe fatto lo stesso anche con Miami. Evidentemente il marito ha scelto, ma non vuole impegnarsi già da ora. A Cleveland possono dormire sonni relativamente tranquilli: il giocatore è destinato a rinnovare, la ragione del biennale è legata al futuro aumento del salary cap. Attenzione, però, una seconda separazione sarebbe definitiva. Non solo, andrebbe a vanificare quanto fatto umanamente. Il vecchio LeBron avrebbe tenuto i suoi tifosi sulla graticola in attesa dell’ulteriore firma, l’attuale versione matura non deluderà le aspettative. A breve conosceremo anche gli illustri “regali” della lista di nozze. La serenità in famiglia è tornata. King James, non ti resta che scrivere la parte clou della tua legacy.