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Pozzecco e la nuova vita da vice: “Un giorno tornerò a Varese, ma qui è un altro mondo”

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pozzecco, alessandro gentile

Varese resta Varese. Non si dimentica. Non si può. “Io su quella panchina tornerò a sedermi. Magari già il prossimo anno. Chissà”. Ma oggi la vita di Gianmarco Pozzecco è Zagabria. Assistente al Cedevita di Veljco Mrsic, ex compagno di squadra a Varese nella magica stagione ’98-99, quella dello scudetto della stella: “Uno dei pochi con cui sono rimasto sempre in contatto. Un predestinato che tra qualche anno diventerà uno dei migliori allenatori d’Europa”. Il Poz è a Milano, il Cedevita ieri sera ha affrontato e battuto l’Olimpia di Jasmin Repsa in Eurolega. Che è uno degli ex della sfida avendo guidato fino alla scorsa stagione proprio il club di Zagabria. Ma Repesa è anche l’allenatore che nel 2005 alla Fortitudo mise fuori squadra Pozzecco, che allora era ancora un giocatore tutto genio e sregolatezza: ”Eravamo ad Avellino e durante un time out presi la lavagnetta e disegnai quello che secondo me era lo schema che dovevamo giocare in quel momento. Jasmin non la prese bene, si arrabbiò. Io allora ero convinto di aver fatto la cosa giusta, oggi no, da allenatore dico che feci una cavolata enorme. Mi misero fuori squadra, soffrii tantissimo perché quella Fortitudo poi vinse lo scudetto. Ma è acqua passata, mi farà piacere salutarlo. Oggi nel nostro staff c’è anche il figlio Dino”.

Da Varese a Zagabria, in questo viaggio cosa le ha lasciato l’esperienza della passata stagione? “Io e Varese eravamo l’idillio perfetto, innamoratissimi uno dell’altro. Io anche troppo…. Ho sofferto perché non sono riuscito a dare a Varese quello che avevo dentro. Sono stato male fisicamente, ho dovuto farmi da parte per il bene della squadra. È un’esperienza che ho vissuto in maniera troppo spasmodica, invece l’allenatore deve essere anche un po’ cinico. Sia chiaro però che rifarei tutto. Qui i ragazzi ridono quando vedono i video delle mie esultanze, ma io una giornata come quella della vittoria nel derby con Cantù non la dimenticherò mai. Uno dei giorni più belli della mia vita. Non ho capito la serie A, tornassi indietro costruirei una squadra diversa, con una forte impronta europea e pochi americani, una chimica che paga”. Come ci è finito al Cedevita? “Quando ho saputo che Veljco poteva diventare il nuovo allenatore del Cedevita l’ho chiamato e gli ho detto per scherzo: ‘vengo a farti da vice’. Mi ha risposto: ‘Poz, fai sul serio?’. Ed eccomi qua”. Che basket ha trovato in Croazia? “Un altro mondo. Qui si punta sui giovani non a parole ma nei fatti. L’età media della squadra è bassa, abbiamo due americani e tanti croati. Facciamo partire in quintetto un ragazzo di 19 anni, c’è un 99′, Musa, bosniaco, che tra qualche anno vedremo in Nba. Ha 16 anni ma non fa panchina, gioca. Sia chiaro, anche qui la crisi si fa sentire, ma le idee vengono portate avanti. Nella Lega Adriatica ci sono realtà importanti con budget forti e 20 mila spettatori a partita. Hanno un futuro molto roseo perché lavorano sui ragazzi. Quando ho incontrato per la prima volta Mrsic, eravamo alla summer League di Orlando, il primo discorso che mi ha fatto è stato sui giovani che avevamo e sui quali bisognava lavorare. In Italia un discorso simile in fase di programmazione lo affronti per ultimo, se lo affronti. Io qui mi trovo benissimo, per fortuna parlano quasi tutti inglese perché con il croato non è stato amore a prima vista. Mi piace questo ruolo, voglio ripagare la fiducia di Mrsic. Sto facendo un’esperienza nuova, che mi permette di vedere questo mondo da un altro punto di vista e che mi aiuterà tantissimo se un giorno mai dovessi tornare ad allenare in modo importante. E poi ho la possibilità di fare scouting, guardare giocatori, conoscerli. Una cosa che mi piace tantissimo”.

Perché in Italia si fa tanta fatica a ripartire? “Perché manca il coraggio di tornare indietro. Nel 2003 dissi all’allora presidente della Fip Maifredi che si stava andando nella direzione sbagliata. Nel giro di qualche anno sarebbero dovute cambiare le regole e invece non si è fatto nulla”. Con il risultato che ci ritroviamo una serie A zeppa di stranieri, molti di indubbio valore. “Ho allenato e giocato in due periodi differenti. In A2 ho guidato una squadra che aveva due americani e come leader Basile, Soragna e Nicevic, che è praticamente italiano. Non era una pallacanestro brutta. Oggi non c’è un giocatore per cui valga davvero la pena pagare il biglietto. Anzi, ce n’è uno soltanto ed è italiano: Alessandro Gentile. Da bambino impazzivo per Oscar, Richardson, Mike Mitchell. Oggi chi arriva da oltreoceano non sposta di una virgola il livello di spettacolarità”. Come giudica l’Europeo dell’Italia e la scelta della federazione di separarsi da Pianigiani? “Pianigiani ha fatto un ottimo lavoro. Non aveva un compito facile perché allenare la nazionale è una cosa bellissima ma allo stesso tempo complicatissima. L’Italia ha giocato grandi partite, è uscita nei quarti al supplementare contro la Lituania che poi ha giocato la finale. In certe competizioni la fortuna gioca un ruolo importante, alle Olimpiadi di Atene abbiamo vinto l’argento perdendo tre partite, la Spagna ne ha persa una soltanto ed è arrivata settima. Al di là del sesto posto che resta comunque un risultato soddisfacente la maglia azzurra è tornata ad entusiasmare, penso che questa sia la vittoria più grande.

Messina? È un mostro, visto che hanno scelto di cambiare credo che la panchina azzurra gli spetti di diritto”. Ha detto che Gentile è l’unico giocatore per cui pagherebbe il biglietto. “Alessandro diventerà una stella della Nba. Dipende solo da lui, da quando deciderà di volare in America. E’ cresciuto in modo esponenziale, è diventato un giocatore totale. Gli mancava l’ultimo passo, lo ha fatto. Con lui in campo anche gli altri giocatori di Milano diventano più forti, questo appartiene solo ai grandissimi”. Chi vincerà lo scudetto? ”Dopo Sassari mi piacerebbe fosse la volta di Venezia e di Recalcati. Charlie resta il numero uno, se lo merita”.