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Reggio Emilia – Il DS Frosini “Sulle coppe Milano non ha preso posizione. Ha pensato solo al suo orticello”

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Il Ds della Grissin Bon Reggio Emilia Frosini si è concesso in una lunga intervista alla Gazzetta di Reggio parlando della stagione di Reggio ma soprattutto della bagarre Eurolega-Fiba

Sarà una stagione di transizione. Non giocare in coppa è un passo indietro rispetto a quello cui eravamo abituati. Questa dovrà essere una stagione di miglioramento, di crescita generale.
Dobbiamo pensare a continuare a migliorarci dobbiamo lavorare per mantenere la posizione acquisita negli ultimi anni che non vuol dire arrivare alla finale scudetto anche perché sarei presuntuoso nell’affermarlo. Dobbiamo continuare il nostro processo di crescita: l’anno scorso siamo stati molto più bravi della stagione precedente, anche se allo scudetto siamo arrivati più lontano» .
In Europa il progresso s’è forse visto più nitidamente.
«Lì il passo avanti è stato più evidente. L’anno scorso siamo riusciti a disputare gare di un certo livello con squadre di un certo livello e non è un caso se abbiamo passato il primo turno d’Eurocup».
In fase di costruzione del team, quanto ha influito non poter garantire ai giocatori un palcoscenico europeo?
«Con l’Eurocup da giocare e con un contratto triennale con Eca avremmo fatto una squadra più lunga e più attrezzata per sostenere il doppio impegno. Non giocare una coppa come l’Eurocup è un danno economico, non possiamo non dirlo. C’è stata una disparità di trattamento perché Milano farà l’Eurolega, le italiane iscritte all’Eurocup no. E’ un passo indietro per tutto il movimento, questo va detto. Ci lamentiamo che la nostra nazionale non è competitiva ma questi giocatori bisogna farli confrontare con squadre europee durante la stagione. Non facendo la coppa, sotto questo aspetto, è un anno buttato via. Non dico che tutti i nostri sei italiani sono a livello di nazionale, ma nei 25 ci stanno tutti e sei. Non giocare la coppa per loro è penalizzante».
Un impoverimento per tutto il basket italiano, in sostanza…
«L’ultima Eurolega vinta risale al 2001 (Frosini sollevò il trofeo con la Virtus Bologna, ndr). Da allora il movimento ha perso tanto, la pallacanestro italiana ha perso appeal. La crisi sicuramente ha picchiato duro sull’Italia e ciò ha influito. Oggi è rimasto solo un club, Milano, che ha una disponibilità economica tale da consentirgli di competere con le migliori d’Europa. Quindici anni fa c’erano quattro squadre in Eurolega, oggi una. Il problema è capire se ci può essere un cambiamento in futuro».
Che strada intravede?
«Sicuramente dobbiamo lavorare tutti e a tutti i livelli, dai direttori sportivi ai vertici societari. La propulsione dovrebbe però arrivare dalla federazione e dal Coni. Bisogna in qualche modo ripartire. E’ necessario perché oggi la pallacanestro italiana non è più il secondo sport nazionale. Siamo ormai una minoranza, pur avendo i nostri appassionati che ci sostengono».
Come ripartire?
«Dall’impiantistica. Il primo passo dovrebbe essere quello. In Italia abbiamo impianti datati, non più adatti all’uso e al pubblico. A parte rare eccezioni è così ovunque. Anche il Forum è ormai sorpassato per le concezioni che ci sono ora, basti vedere la Spagna, la Germania o gli stessi paesi dell’Est europeo. Dobbiamo ripartire da lì, dagli impianti e aggiungere nuove idee. Per questo credo che il governo abbia un ruolo fondamentale. Federazioni e Coni dovrebbero spingere su chi governa per cambiare le cose. Poi, per un rilancio, dovrebbe cambiare anche il regime fiscale che è fortemente penalizzante. Serve un regime fiscale più adatto per inquadrare le società sportive. I giocatori non sono lavoratori come gli altri, non hanno una carriera lunga 40 anni come un impiegato. La maggioranza dei giocatori è straniera e noi accantoniamo soldi per pensioni che non verranno mai versate. Se un giocatore all’anno costa 100, tu ti trovi a versare 220 e questo non è possibile».
E se il trend non cambiasse?
«Se le cose non cambiano si andrà sempre più al risparmio, sempre più a cercare giocatori con il profilo più basso, con tutte le conseguenze che ne verranno. Per ridurre i costi, e per fortuna non è il caso di Reggio Emilia, si è smesso di investire sui settori giovanili, preferendo andare su stranieri “usa e getta” che bisogna sì essere bravi a scegliere, ma che poi non lasciano nulla. Non puoi pensare di programmare qualcosa se ogni anno cambi sette giocatori. E la gran parte dei club italiani fa così».
Quanta fatica si fa ad andare controcorrente?
«Tanta. A livello economico è molto evidente. L’impatto economico della nostra squadra è importante e lo è perché dietro c’è un certo progetto. Noi lavoriamo per dare un’identità precisa alla nostra squadra».
In uno scenario simile, l’Olimpia sembra sempre più lontana…
«Mi dispiace dirlo: Milano che dovrebbe essere la società guida in Italia, sul caso coppe non ha preso una posizione, ha voluto fare strada a sé e ha lasciato indietro altre società che volevano fare determinate scelte di battaglia. Questo vuol dire che a Milano si sta pensando soltanto al proprio orticello e non al movimento globale. Tutto questo s’è rispecchiato poi nel loro mercato estivo. Il club ha preso determinati giocatori che forse non sono ancora pronti per l’attuale livello della squadra. Non parlo di Pascolo che ha già dimostrato di essere pronto, ma di giocatori come Fontecchio, giovane e che ha bisogno di giocare, o come lo stesso Abass. Naturalmente è solo la mia chiave di lettura, ma l’impressione è che abbiano voluto togliere dal mercato i migliori pezzi. La sensazione è che stiano facendo un campionato a sé, sia a livello sportivo sia per le decisioni programmatiche».
Dietro Milano chi vede?
«Ci sono quattro società. Su tutte Venezia che ha fatto un’ottima squadra, mantenendo un gruppo consolidato. Credo possa essere la Reyer la seconda forza del campionato. Poi, naturalmente, Avellino, Sassari e noi. L’outsider? Torino che ha un roster molto, molto interessante e un bravo allenatore».
Dove vede la Grissin Bon?
«Mi auguro che si mantenga nelle prime quattro posizioni. Non sarà facile, ne abbiamo tutti la consapevolezza. Dobbiamo essere pronti a giocarci le nostre carte, sapendo che dovremo anche soffrire».
La squadra è pronta a farlo?
«Parliamo di un team che ancora deve trovare i propri equilibri. Ha molta potenzialità e tutto per far bene, deve però avere la consapevolezza che bisogna anche sporcarsi le mani. E’ una squadra più garibaldina rispetto al passato e questo dovrà essere compreso anche dai nostri tifosi, abituati a un gioco più ragionato».
Il roster è chiuso? C’è ancora una casella scoperta fra gli stranieri…
«Abbiamo anche sei italiani: è uno di loro il nostro “straniero” mancante. Le linee guida che ho trasmesso allo staff è di dare piena fiducia a tutti i nostri giocatori che sono dieci, tutti da quintetto».