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NBA Week 5 – L’Italian Job fatica a carburare

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La schiacciata di Marco Belinelli contro Philadelphia rappresenta purtroppo uno dei pochissimi bagliori di quella che, ad oggi, è senza ombra di dubbio la stagione più negativa per i nostri alfieri oltreoceano. Non tutte le cause sono da additare ai nostri portabandiera, il che rende ancora più complessa la situazione.

Belinelli, vittima di un infortunio dopo pochi giorni dal kick-off, ha visto il suo minutaggio e le sue percentuali scendere in maniera visibile. Il campione in carica del Three Point Shootout Contest al termine della passata stagione ha viaggiato con una media di 11,4 punti – 48,5% dal campo e 43% da dietro l’arco – e 3,3 assist in 25,2 minuti, rappresentando un fidato settimo uomo nelle rotazioni degli speroni. In questa annata invece il Beli ha visto scendere di quasi 10 minuti il suo utilizzo in campo (16,3) e le sue percentuali cadere a 38,6% dal campo e soprattutto a 29,2% dalla lunga. L’opaca prestazioni difensiva nelle scorse Finals e la scelta di Popovich di giocare in media più minuti con un quintetto più alto stanno dando luogo al primo momento difficile di Marco in Texas, ma siamo convinti che anche in questa stagione il talento da San Giovanni in Persiceto riuscirà a ritagliarsi un suo spazio importante.

Gallinari, dopo aver battuto il terribile infortunio, nonché le cure scellerate da parte dello staff medico, che lo hanno costretto a saltare tutta la passata stagione, si trova a fronteggiare ora le discutibilissime scelte di coach Shaw. Attualmente sta fornendo alla sua franchigia 7,5 punti, 3,3 rimbalzi e 1,1 assist nei 18,7 minuti in media a partita concessigli, partendo dalla panchina poiché nel suo ruolo al momento è preferito Chandler, nonostante il suo plus/minus sia tra i migliori della squadra. Troppo poco per un campione che prima dell’infortunio viaggiava costantemente sopra i 15 a gara, con un minutaggio superiore ai 30 minuti e un ruolo da “franchige player” in codominio con Ty Lawson. Prestazioni d’altronde che per poco non gli hanno garantito una convocazione all’All-Star Game del 2011-12 – annata in cui comparve persino in una numero 9 settimanale della speciale classifica “Race to MVP” di Nba.com. Parlare di trade forse è prematuro ma il campione da Sant’Arcangelo Lodigiano merita un ruolo più importante, nonché di competere per un team di rilievo con ambizioni importanti, cosa che gli attuali Nuggets non sono e non posso offrire.

È dal suo approdo in NBA che Bargnani ha dovuto convivere con gli oneri e gli onori che una first pick comporta. A partire dalla terza stagione americana era riuscito, seppure in un solo lato del campo, a crearsi una nomea di tutto rispetto e collezionando statistiche degne di nota (15,4 punti in media nel 2008/09, 17,2 nel 2009/10, il boom nel 2010/11 con 21,4 punti di media e per concludere 19,5 punti nel 2011/12 prima di un infortunio che lo costrinse “out for season”). I paragoni con Nowitzki e con altri lunghi che hanno fatto la storia della Lega, ma soprattutto la mancanza di vis agonistica in campo e di “untangibles” nei suoi report hanno fatto scendere le sue quotazioni dapprima da uomo franchigia a secondo/terzo violino e poi addirittura a giocatore di rotazione. La sua ultima stagione ai Knicks ha purtroppo visto affossare del tutto la sua credibilità nel panorama NBA (sebbene in fase realizzativa sia stato l’unico a superare la sufficienza con Anthony) e dopo un infortunio al legamento del gomito, frutto di una rovinosa caduta dopo un tentativo di schiacciata, di lui si sono perse del tutto le tracce. La stagione attuale lo vede “inactive” a tempo indeterminato ma, a prescindere dal momento del ritorno sul parquet, la scelta più opportuna potrebbe essere quella di tornare nel vecchio continente e fare le fortune di un top team potendo usufruire dei vantaggi che offre una pallacanestro meno fisica e più adatta alle sue skills.

Situazione analoga se non peggiore per Datome; il capitano di Team Italy ha convissuto, e forse tuttora convive, con numerosi acciacchi fisici. Seppur modificato il suo status da “inactive” a “in rotation” nel concreto la situazione non è cambiata, con Gigi costretto a osservare dalla panca le prestazioni, tutt’altro che positive dei suoi Pistons. L’auspicio per il talento originario da Montebelluna è quello di trovare al più presto una trade che gli consenta di lasciare l’orrendo carrozzone di Detroit – la cui guida tecnica e societaria è indecorosa e inaccettabile per una Lega prestigiosa quale è la NBA – e di approdare in un team che almeno gli dia una chance di dimostrare il suo potenziale. In caso contrario la soluzione più adeguata sarebbe quella dolorosa ma necessaria di un ritorno in Europa, dove una big non tarderebbe ad offrirgli un contratto e soprattutto un ruolo da star.

Se sul parquet l’Italia è alla ricerca di tempi migliori, possiamo però non essere che orgogliosi per ciò che è accaduto in panca, con il record stabilito da coach Messina; l’assistent degli Spurs ha sostituito per due match Gregg Popovich alla guida degli speroni, peraltro portando il team al successo in entrambe le occasioni, diventando così il primo allenatore europeo a dirigere, seppur ad interim, una franchigia NBA. Well done Ettore!

Stefano Minerba