fbpx
Home NBA NBA – Regular season al via, la “geografia” dei rookies: Eastern Conference.

NBA – Regular season al via, la “geografia” dei rookies: Eastern Conference.

0

In piena preseason, ormai ad una manciata di giorni dall’inizio della nuova regular season, BasketItaly vi porta in giro per gli States a conoscere i volti nuovi della NBA.

Eastern Conference

Dal Minnesota, ultima tappa del nostro viaggio ad ovest, il passo che porta nel Wisconsin è breve: a Milwaukee c’è enorme curiosità attorno a Thon Maker, scelto alla decima chiamata.
Proveniente dal Sudan, Maker si è dichiarato per il draft scegliendo di saltare il college: dall’alto dei suoi 2 metri e 16 centimetri, di una inaspettata rapidità, di una mobilità da esterno e  di un buon tiro da fuori, Thon alla high school sembrava a tratti un gigante in mezzo ai bambini. Tutte queste doti e la potenziale futura super star che molti vedono in lui, tuttavia, cozzano con la mancanza di esperienza e la difficoltà di inquadrarlo in un ruolo ben preciso.
Per questi motivi Maker è da aggiungere alla lista dei progetti a lungo termine a disposizione di coach Kidd, nella speranza per i Bucks di ricavarne un nuovo Giannis Antetokounmpo; quello che è certo è che per questa stagione Maker siederà molto in panchina ad osservare Jabari Parker (finalmente), the Greak Freak, Mirza Teletovic e Micheal Beasley spartirsi i minuti nei due spot di ala.


Nella città di Happy Days segnaliamo anche l’arrivo (passato in secondo piano) con la scelta 37 di Malcolm Brogdon, miglior giocatore e miglior difensore della passata ACC con la maglia dei Virginia Cavaliers, che, in virtù della sua maturità e del suo gioco completo, potrebbe ritagliarsi un po’di spazio nel deserto lasciato dall’infortunio di Khris Middleton nella batteria dei piccoli di Milwaukee.

Il nostro viaggio alla scoperta delle matricole prosegue verso l’Illinois, dove, ai piedi della statua di Micheal Jordan, il draft ha recapitato Denzel Valentine, con la scelta 14.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=x4mnrKZrGf0]
L’ex stella di Michigan State, farà a spallate con McDermott e gli altri esterni per coprire i minuti di riposo concessi a Dwyane Wade e Jimmy Butler: la sua versatilità ed il suo tiro da fuori tuttavia sembrano renderlo molto adatto al gioco di coach Hoiberg. Se aggiungete una buona dose di leadership e poca paura di prendersi responsabilità ecco che potreste avere per le mani la ricetta per una delle possibili rivelazioni tra i rookies 2016.
Sconfinando per un attimo in Canada andiamo a presentare il nuvo lungo dei Toronto Raptors, l’austriaco Jakob Poeltl, proveniente con la nona chiamata dall’università di Utah.


Poeltl viene dal florido vivaio degli Arkadia Traiskirchen Lions, lo stesso da cui proviene Nemanja Bjelica tanto per citare un nome ed ha messo insieme cifre ragguardevoli nelle rappresentative giovanili austriache e nei due anni con gli Utes (17,2 punti e 9,1 rimbalzi nella passata stagione). Si tratta di un centrone vecchio stampo, presidiatore del pitturato nelle due fasi del gioco e, in virtù di questo, sembra non delinearsi per lui un grande ruolo nelle rotazioni dei Raptors, se non quello di guardaspalle di Jonas Valanciunas.

La nostra prossima fermata avrebbe dovuto essere Brooklin, dove, sacrificando addirittura Thaddeus Young, una delle pochissime note liete della passata stagione, il GM Sean Marks ha ottenuto dai Pacers, la ventesima scelta, selezionando Caris LeVert da Michigan.
Tuttavia il talentuoso esterno dovrà rimandare il proprio debutto tra i pro a date ancora da destinarsi, a causa del riacutizzarsi dell’infortunio al piede che già lo aveva costretto a saltare un’intera annata al college, ragion per cui non ci soffermeremo a presentarlo.
Ciò che ci limitiamo ad osservare è che il futuro dei Nets continua a prospettarsi ben più nero della loro uniforme.

Il nostro coast-to-coast prosegue dunque a Boston. Nonostante l’annata positiva e l’apparizione ai playoff i Celtics si sono trovati in dote, grazie allo scambio che ormai sei anni fa portò Pierce e Garnett a Brooklyn, la terza scelta assoluta, con la quale si sono accaparrati Jaylen Brown, ala piccola da California.
Brown possiede doti atletiche da fenomeno ed anche il talento offensivo e difensivo, per quanto ancora da svezzare è innegabile: l’intento dei verdi è quello di farlo crescere senza fretta sotto le cure di un coach come Brad Stevens, in grado di valorizzare ogni risorsa in suo possesso, che lo ha impiegato in più ruoli finora. Lo stesso allenatore ha confermato, durante un intervento alla trasmissione “TheRinger’s NBA podcast”, di aspettarsi che il rookie migliori gradualmente: “Credo che Jaylen sia in una buona situazione per imparare e crescere, perchè è arrivato in un team con giocatori perimetrali molto rodati, che ogni giorno lo metteranno in difficoltà in allenamento. […] Per lui sono accoppiamenti difficili e questa dovrebbe essere la parte migliore della sua curva di apprendimento.”

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=kP3XFEZPUjY]

L’impatto dunque  potrebbe non essere immediato, vista anche l’importanza di Jae Crowder nel gioco di Boston ed il ritorno nel Massachusstes di Gerald Green, ma i Celtics vedono davvero in Brown l’ala piccola del futuro, una stella sui due lati del campo e, perchè no, un futuro uomo simbolo per la franchigia.

Dal Massachussets ci spostiamo decisamente a Sud, direzione Atlanta, Georgia, per parlare di Tauren Prince, ala da Baylor draftato dagli Hawks con la scelta numero 12.


Prince si fa apprezzare per la grande versatilità sui due lati del campo, fattore che potrebbe portarlo a scalare posizioni nelle gerarchie di coach Budenholzer. Inizialmente partirà sicuramente dietro a Korver e Bazemore, facendo a spallate con Tim Hardaway Jr. e con lo specialista difensivo Sefolosha, ma la maggiore completezza e fisicità rispetto a questi ultimi (più difensore di Hardaway, più attacante di Sefolosha, più fisico ed atletico di entrambi) potrebbe regalargli un ruolo nelle rotazioni di Atlanta.

La tappa finale del nostro viaggio ci porta, volutamente, con un percorso un po’a zig-zag, in Pennsylvania, a Philadelphia.
Quello che doveva essere per i Sixers l’anno della rivalsa, la fine del tanking selvaggio che così in basso aveva trascinato la storica franchigia che fu di Moses Malone, Dr.J, Charles Barkley ed Allen Iverson, coincisa anche con la cacciata dell’ex GM Sam Hinkie e l’arrivo di Bryan Colangelo, rischia di essere un altro anno di sofferenze.
Con la prima scelta assoluta non più tardi di tre mesi fa’Phila aveva chiamato Ben Simmons, ala australiana da LSU, arrivato in città con le stimmate del predestinato e del salvatore della patria: in effetti per talento, fisico e carisma, oltre che per alcune gemme mostrate in preseason, il nuovo numero 25 dei 76ers sembrava essere l’uomo giusto al momento giusto…fino alla frattura al piede destro che lo terrà fuori a tempo indeterminato.
Lo staff di Philadelphia è sempre rimasto cauto riguardo alle tempistiche del recupero, ma voci vicine all’agente dell’australiano avevano ventilato in un primo momento la possibilità di una sua assenza per l’intera prima stagione; negli ultimi giorni dal quartier generale del Sixers arrivano invece voci che vorrebbero l’ex Tiger in campo a gennaio.
Debutto del futuro uomo simbolo dunque rimandato a data da destinarsi, ma forse per Phila non tutto il male viene per nuocere.

Questa offseason ha infatti consacrato l’importanza di due rookies a disposizione di Brett Brown, non draftati nel 2016, bensì nel 2014, ereditati dall’era Hinkie: Dario Saric e Joel Embiid.
Il croato, reduce da due anni all’Efes, dopo essersi consacrato in patria con le maglie di Cibona e KK ed aver disputato una ottima olimpiade, è finalmente sbarcato oltreoceano: la sua capacità di aprire il campo e vedere il gioco lo hanno da subito catapultato al centro del gioco dei Sixers in preseason, entusiasmando coach Brown , che si è sbilanciato su di lui: Amo allenare Dario. E’ tosto, è intelligente, è tutto quello che ci aspettavamo che fosse”. Nonostante un reparto ali nel quale già Jerami Grant e Robert Covington hanno ruoli di primo piano, dunque Saric non dovrebbe faticare a trovare spazio.


Idem dicasi di Joel Embiid, ex superprospetto da Kansas chiamato con la terza scelta assoluta, fermo per due anni a causa di gravi problemi fisici ed ora finalmente pronto a lasciare il segno nella NBA.
“The Process” è stata la vera e propria stella della preseason dei 76ers e ha ripagato abbondantemente le attese con ottime giocate sui due lati del parquet, sebbene sia stato centellinato da Brown, ancora cauto rispetto alle sue condizioni di salute; al rientro di Okafor e Noel l’ex assistente di Popovich agli Spurs avrà evidenti problemi di abbondanza nel pitturato (che fanno da contraltare alla desolante pochezza del back-court di Philly) e dovrà essere bravo a gestire tutte le risorse a sua disposizione, anche se sembra avere le idee chiare sull’ex Kansas: “Credo che sarà il punto focale del nostro gioco, sia offensivamente che difensivamente.”

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=E6M15R649qk]
Il ritorno al vertice per Philadelphia è ancora lontano, ma forse non tutto è così perduto come sembrava dopo l’infortunio di Simmons: Trust the Process!