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The Fake Decision: il mondo del giornalismo in ginocchio

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Nel 2010, quando Lebron James spezzò i cuori dei tifosi di Cleveland, già si sapeva che sarebbe arrivata prima o poi una Decision 2.0. Nei successivi quattro anni, nonostante il contratto e gli anelli indossati, il tema ha continuato a tenere banco. Nella giornata di ieri è arrivata la notizia che l’ufficializzazione della prossima maglia fosse imminente: network parlavano delle 3.30 orario dell’est come il momento della verità.

Pattuglie locali circondavano l’abitazione dei coniugi James ad Akron, Ohio. La scenografia sembrava allestita per il grande spettacolo. Poi il nulla, silenzio assoluto. LeBron ha sorpreso tutti.
Non abbiamo una scelta da analizzare, ma la “Fake Decision”, come ci piace ribattezzarla, è stata comunque un autentico show. Il mondo intero si è fermato, dimenticando tutto. Il sito ufficiale del numero sei degli Heat è andato in tilt. Troppo traffico, troppe persone ad aggiornare la pagina ogni manciata di secondi. Il giornalismo sportivo americano si è trovato più che mai spiazzato. Anche quella realtà, tanto invidiata da noi italiani, ha compiuto un passo falso. Le testate erano al corrente che qualcosa andava scritto, pur non essendoci notizie reali. Ed ecco che la rete è stata invasa dalle più disparate e fantasiose teorie. L’unico dato di fatto era la presenza delle volanti e l’allerta delle autorità. Sulla base di quello si poteva costruire qualcosa. Qualunque cosa, volendo. Perché gli agenti potevano essere la conseguenza del timore di festeggiamenti oltre le righe, come la paura della famiglia James di possibili “ritorsioni”. Questo è solo il primo atto di un capolavoro mediatico senza precedenti. Quando tutto il globo era a conoscenza della situazione, qualcuno ha tentato di spingersi oltre. Fonti riportavano voci messe in circolazione da un’amica della signora James, altre parlavano di uno spostamento delle automobili di lusso. Tutto smentito, la verità è saltata fuori subito: si trattava di una semplice operazione di routine del garage che ogni anno LeBron compie. E non è finita qui, molti hanno provato a fare da psicologi. Avete presente il poker? Per chi non lo conoscesse bene, proverò a riassumere il concetto di “tell”. È la ricerca da parte di un giocatore di segnali involontari che l’avversario non è riuscito a nascondere: una sorta di indizi. Ecco, ieri la stampa americana si è seduta al tavolo verde e ha provato a studiare la pokerface del Prescelto. Sotto la lente del microscopio sono finite interviste, ultime apparizioni in pubblico, tweet, linguaggio del corpo durante le Finals. Bastava un’esitazione che mostrasse la volontà di tornare a casa, l’insofferenza nel giocare senza riuscire più a vincere in Florida o la voglia di rimanere ancora con Wade e Bosh, sempre che quest’ultimo non sia il primo a fare le valigie. Anche in questo caso si è arrivati ad una fumata nera. Il quattro volte MVP è sicuramente riuscito ad impersonare la sfinge, ma non è stata una vera impresa. L’indecisione ha regnato, e le carte in tavola sono cambiate negli ultimi giorni. Di premeditato, comunque vada a finire, ci sarà molto poco. Il vero dramma giornalistico di ieri nasce dal fatto che il giocatore non ha optato per la diretta televisiva, lasciando tutti all’oscuro: non è ancora chiaro quando, e soprattutto tramite quale canale, verrà dato l’annuncio. L’ironia della sorte vuole che LeBron abbia cambiato i piani e si sia imbarcato a Las Vegas per poter raggiungere il Brasile ed assistere alla finale della Coppa del Mondo. A proposito, senza fare nulla è riuscito ad eclissarla. La bellezza della finta è che mostra in toto il potere di LeBron James, capace di paralizzare il mondo dello sport e da solo prendere il centro del palco. Non sono mancati i cinguettii degli haters, che hanno puntato il dito contro la sua mania di grandezza. In realtà non ha colpe. Lui non ha direttamente innescato la bomba, ha lasciato solamente che esplodesse. Bastava poco per fare chiarezza, invece ha scelto il silenzio. Evidentemente non gli dispiace essere l’uomo più chiacchierato del pianeta. Se Cleveland sarà la scelta, il numero avrà un valore ben preciso. L’ipotesi 32 è la più accreditata e avrebbe il significato di voler invertire la sorte, che lo ha visto perdente con la franchigia di casa. Una seconda scelta del 23 non stiamo nemmeno a spiegarvela. Sarebbe la traduzione numerica dell’obiettivo primario della seconda parte di carriera che lo attende: raggiungere Michael. Al momento ci piace immaginarlo seduto sull’aereo diretto a Rio, con un sorriso compiaciuto nel pensare: “Mike, guarda. Stanno facendo tutto questo per me. A te non è mai capitato…”. Qualcuno poi dovrebbe fargli capire come mai Jordan non ha avuto bisogno di “decisions”, ma questa è un’altra storia.