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Home Editoriali Sicuri che sia basket da campetto? Cronaca di una serata agostana un pò speciale in cui Seattle tornò a respirare l’ Nba

Sicuri che sia basket da campetto? Cronaca di una serata agostana un pò speciale in cui Seattle tornò a respirare l’ Nba

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BARON DAVISMentre noi da questa parte dell’oceano (giustamente) ci godiamo lo spazio dedicato all’Europeo e alla nostra Nazionale, che forse è la più forte di sempre e sicuramente è la più mediatica e cool già da ora in America che fanno? Impazziscono per una partita improvvisata e senza tattiche preparate e giocate da campetto nella palestra di una scuola. Sembrerebbe folle ma non lo è, o per lo meno è una follia giusta.

E’ successo che nell’ultimo venerdì di agosto a Seattle un tale Jamaal Crawford, quello capace di prendere palla e risolverti una partita per intenderci, ha messo insieme un po’ di amici e si è inventato una partitella da giocare nella succitata palestra della scuola e, siccome al nostro non dispiace sentirsi il boss l’ha chiamata Jamal Crawford’s Pro-Am. In realtà i Pro-Am esistono dal 1996, su idea di Doug Christie e negli anni ha contato su gente come Brandon Roy o KD, fino a Griffin ed Irving. Siccome servivano degli avversari il nostro ha telefonato ad un paio di amici a Los Angeles e ha chiamato tutti a raccolta. Ora, una partita che parte con questi presupposti da divertissement in una città che non ha una franchigia da quasi sette anni in un altro posto del mondo non interesserebbe a nessuno ma Seattle è un’ altra storia.
I Ragazzi di Crawford, è bene dirlo, erano alcuni dei giocatori più eccitanti del panorama Nba. I prodotti di quella che è, a dispetto di un tempo atmosferico non sempre clemente, una delle mecche del basket si chiamano infatti Jason(Jet) Terry, Nate Robinson, Isaiah Thomas, Aaron Brooks e Tony Wroten, solo per citare i presenti all’evento, che formerebbero un backcourt di tutto rispetto.
Per quanto riguarda gli avversari da LA non sono venuti certo dei Beach Boys, si presentavano nella Emerald City una selezione della Drew League, una delle leghe estive più eccitanti, un istituzione in America. Per intenderci quelli che hanno staccato un biglietto dalla California all’ Nba hanno giocato almeno una volta in questa lega, anche dopo essere diventati star in Nba. Il mentore di questa selezione con queste premesse non poteva che essere un personaggio di culto come Baron Davis, che un infortunio in una serie playoff con New York ha allontanato dai parquet Nba due anni fa, ma che resta un riferimento a Los Angeles.
Insomma il refrain “questa è un’amichevole, non vale nulla (e quindi non è interessante)” può valere per il Sassuolo al trofeo Tim, meno per partite come queste. Non sorprende quindi che ci fosse il tutto esaurito, considerato anche quanto sia un occasione unica per vedere un tipo di basket sicuramente peculiare nel suo genere. Il basket che abbiamo visto è qualcosa dalla bellezza ribelle quanto anarchica. Saper giocare questo basket “di strada”, non vuol dire per forza essere bravi pure al piano di sopra ma pure viceversa. La squadra della Drew League, diciamolo subito, ha perso. Non perché avesse meno giocatori di talento ma perché ha giocatori che non si sposano bene con questa pallacanestro. E allora succede che un ottimo giocatore che può essere decisivo nell’equilibrio di un roster Nba come Trevor Ariza, venga fagocitato da gente che nella lega non gioca ancora e forse non giocherà mai. Succede che la compagine della Drew League resti in partita grazie all’ex senese Bobby Brown, uno che farà scendere una lacrima a tanti amanti del basket nostrano, ma che difficilmente troverà un ruolo di primo piano nella lega, almeno nel breve.
A tenere su davvero gli angelini ci ha pensato però il Barone. Davis, che ci ha regalato solo tre minuti e spicci di vera onnipotenza, ha fatto rientrare i suoi prima che l’autonomia ridotta lo costringesse a continuare il personale spettacolo dalla panca, con una bandana da fare invidia a pirati e politici ben più navigati. Alla fine ha pure lanciato la sfida alle point guard della Nba attuale, aprendo a un suo ritorno. Speriamo non siano solo false speranze certo la barba di Compton, progenitrice di quella del suo protetto Harden, non ci dispiacerebbe.
A contendersi l’Mvp il padrone di casa Crawford che ha strapazzato il neo rookie di Detroit Stanley Johnson e Isaiah Thompson che ha fatto il profeta sul campo della Seattle Pacific University, togliendosi pure lo sfizio di stoppare al ferro il povero Stanley (che però è forte e si rifarà). Tra i non tanti lunghi in campo a spadroneggiato pure la speranza di Minnie Zach LaVine che con le sue schiacciate ha dimostrato di trovarsi a suo agio come poco nel contesto. Menzione d’onore finale pure al pubblico che non ha risparmiato ininterrotti cori contro quelli che sono considerati i colpevoli dell’addio dei Sonics. Certo che, vedendo lo spettacolo siamo tutti d’accordo: Seattle merita l’Nba, Bring the Sonics back ASAP!!

Foto by SOMBILON PHOTOGRAPHY