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LeBron James: Al prescelto la storia non basta, vuol regalare il titolo alla sua Cleveland

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LeBron James Avete presente Matthew Dellavedova? Sì, quel Dellavedova. Beh, fra circa una settimana il nanetto (lo è solo apparentemente, in realtà è alto 193 cm, ndr) australiano contenderà ai campioni della Western Conference il trono della NBA, in occasione delle Finals 2015. Potrebbe essere questo, se vogliamo, uno dei più grandi pregi di Lebron James: rendere competitivi dei giocatori che, in realtà, competitivi non sono.

I cosiddetti “haters” di “The King” possono appigliarsi a tiri sbagliati, scelte sprovvedute, palle perse o blackout difensivi, ma nulla, davvero nulla, si può dire sulla sua capacità di migliorare i propri compagni di squadra. Basti pensare al roster con cui la Cleveland 1.0 (quella prima di “The decision, part one”, per intenderci) si presentò alle Finals NBA nell’ormai lontanissimo 2007.

Il quintetto di gara 1 mandato in campo da Mike Brown, all’epoca head coach dei Cavs, era composto da: Pavlovic, Hughes, James, Gooden e Ilgauskas. Per carità, tutti signori cestisti (davanti a Zydrunas ci sarebbe soltanto da inchinarsi), ma quante altre volte hanno avuto la

possibilità di giocarsi un anello NBA, o almeno di andarci vicino? Zero. E sapete perché? Semplice: era LBJ a trasformarli in atleti da titolo. Condividere la casacca con tale personaggio significa tirare sugli scarichi con metri di spazio, sapere che non toccherà a nessuno, fuorché James, prendere l’ultimo tiro (gara 4 e lo United Center di Chicago insegnano) ed essere consapevoli del fatto che basterà portare a termine il proprio compitino per risultare utili alla causa, perché al resto ci pensa lui.

E non importa se, otto anni fa, Cleveland venne brutalmente “sweeppata” dai San Antonio Spurs del magico e immortale trio Duncan-Parker-Ginobili, perché in quel momento il mondo intero si è accorto che quei 113 chili, distribuiti in 203 centimetri, sarebbero diventati argomento di discussione da lì ai prossimi 10 (15?) anni a seguire in tutti i bar degli States e non solo.

Ebbene, il percorso di redenzione di Lebron James potrebbe chiudersi quest’anno. E’ stato spesso appellato come un perdente, “loser” direbbero dall’altra parte dell’oceano, di aver vinto solo grazie a Dwayne Wade e Chris Bosh, di essere addirittura scoppiato in lacrime nello spogliatoio dopo una sconfitta. Ha battuto i Chicago Bulls senza Kevin Love e ha annientato gli Atlanta Hawks sostanzialmente senza Kyrie Irving, senza dimenticare l’assenza di colui che avrebbe dovuto essere il centro titolare della franchigia, ovvero Anderson Varejao. What else? Ha ancora bisogno di dimostrare qualcosa a qualcuno? Non sappiamo se riuscirà ad eludere la resistenza di quel manipolo di mostri gialli, guidato dal figlio di Dell, che lo attende ad Oakland (a meno che Harden non metta su la rimonta del secolo), ma una cosa è certa: la sua sola presenza sul parquet tende a spostare gli equilibri, ad adeguare le difese e ad attirare tutte le attenzioni su se stesso, e ciò non può che giovare al resto del team.

E che dire di JR Smith e Iman Shumpert, i quali, fino a gennaio, lottavano insieme ai New York Knicks per non diventare la peggior squadra della NBA, e adesso sono ingranaggi fondamentali per la macchina guidata da David Blatt: il primo, se in giornata, scambia il cesto appeso a poco più di tre metri d’altezza per una vasca da bagno; il secondo, più giovane e ancora acerbo sotto alcuni punti di vista, si sta comportando egregiamente.

Qualcuno ha detto Mozgov? Divenuto famoso per la sua comparsa su un poster “stampato” da Blake Griffin in persona, al punto che, in America, la locuzione “to be mozgoved” voleva dire “ricevere una schiacciata in testa” (o in faccia, fate voi), è ora il centro titolare della migliore squadra della Eastern Conference. Buffo il destino: il russo giocherà le Finals, mentre l’americano le guarderà in tv, comodamente seduto in poltrona.

Lebron è chiamato a compiere l’ennesima impresa della sua carriera: riusciranno i tanti piccoli Davide di Cleveland (coordinati, ovviamente, dal boss LBJ) ad abbattere la corazzata Golia, gialla più che mai? Matt, Timofej e compagnia, se state sognando, non svegliatevi sul più bello.

Photo: Keith Allison

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