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La Nazionale della carità

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Petrucci Nazionale Italiana euro 2013

Non schieratevi, perdereste solamente tempo. Nessuna delle parti ha pienamente ragione. Partiamo da una doverosa precisazione: quella di Daniel Hackett è stata una vera e propria fuga. Le modalità dell’abbandono del ritiro, prese singolarmente, mettono il giocatore nella condizione di non poter essere assolto. In un paese normale avrebbe espresso il proprio dissenso, ci sarebbe stato un pacifico confronto con lo staff, e successivamente le componenti avrebbero trovato una comune soluzione. La nostra è una realtà particolare e le cose non vanno mai come dovrebbero. A spiegare la situazione ai ragazzi è stato lo stesso Simone Pianigiani, essendo loro all’oscuro di tutto, ciò conferma che il dialogo all’interno della rappresentativa rasenta lo zero. Torniamo indietro di un anno, poiché il caso sarebbe potuto scoppiare l’estate scorsa. La circostanza è stata scampata nel momento in cui l’ex senese ha annunciato di non voler prendere parte all’Europeo con l’obiettivo di salvaguardare il tendine. Le polemiche non sono mancate e la Federazione, per bocca proprio del presidente Giovanni Petrucci, ha attaccato apertamente il giocatore. Il conflitto è andato avanti fino all’incontro tra i due, avvenuto a Firenze, il quale ha posto fine ai continui botta e risposta. Il gesto di Hackett è doppiamente grave, quando si va ad analizzare a fondo la questione. Quello emerso in questi giorni non altro che l’approccio dei nostri cestisti alla Nazionale. Perché diciamo la verità, anche se cruda, quest’ultima comincia ad essere vista come di troppo. Ormai la maglia azzurra rientra nella sfera del “sacrificabile”. Se c’è una parte di stagione da saltare, la scelta ricade sempre su quella estiva: non è un caso che Melli abbia fatto lo stesso. Il poco appeal dell’azzurro è dovuto a tanti fattori. Il più importante è sicuramente la poca competitività dell’Italia in campo internazionale. Ci vuole poco a fare l’esempio della Francia e di gente come Parker, ma attenzione a non cadere nella banalità: diventa facile accettare la convocazione quando c’è qualcosa alla portata. La selezione dello stivale è lontana anni luce dai vertici e non è irreale l’ipotesi che qualche giocatore nel profondo pensi: “Che senso ha sprecare energie tra competizioni e qualificazioni, se tanto non portiamo a casa nulla?”. A riguardo è più attinente l’esempio del Dream Team, fatto anche da Petrucci in una delle sue “arringhe” contro Hackett. Vincere con la maglia a stelle e strisce non fa grande nessun giocatore, non ci vuole molto, eppure gente come LeBron James risponde presente, abbagliata dal fascino dei cinque cerchi e dei trofei iridati. Mettendo da parte le giuste motivazioni che hanno portato alla rinuncia della wild card per il prossimo Mondiale, appare evidente come questa scelta confermi la consapevolezza della Federazione. La maglia azzurra non è una di quelle da vestire per vincere, anzi. Richiede molti più sacrifici di quella statunitense, che garantisce nei periodi migliori una semplice passerella verso l’oro. Tempo fa il presidente federale dichiarò: “La Nazionale deve essere un onore ed un dovere”. Il rischio attuale è che l’organo possa contraddirsi. Come? Molto semplice: condannando Hackett. La situazione vista da fuori può essere riassunta con la parola anarchia. Per questo i vertici che comandano il nostro basket devono dare uno scossone. Hanno le mani legate, non possono lasciare il cestista impunito. Una squalifica del playmaker, che secondo quanto riferito nelle ultime ore potrebbe essere di diversi mesi da scontare in campionato, aprirebbe una nuova falla. Potremmo trovarci ai nastri di partenza di un’era segnata da giocatori che accettano la convocazione perché spaventati. Sono utili atleti presenti in quanto “minacciati” dalle armi federali? La storia ci insegna che spesso gli eserciti formati in questo modo sono quelli che in guerra tendono a risparmiarsi. È una reazione a catena: mi mandi con la forza a combattere, io cerco almeno di salvarmi la vita. Così avrebbe fatto Daniel Hackett, se fosse stato obbligato a restare: non lo avremmo certamente visto dare il massimo. In un mondo perfetto la questione sarebbe stata gestita esclusivamente tramite l’utilizzo di un codice etico, possibilmente in una versione più elaborata e uniforme rispetto a quanto visto in tempi molto recenti in altre realtà sportive. Pianigiani avrebbe valutato tutto e giudicato se si tratta di una preoccupazione fondata, o di semplice disinteresse verso i nostri colori. Nel secondo caso avrebbe evitato di inserirlo nelle convocazioni fino ad una dimostrazione di redenzione. Non servono procure, ma regole non scritte. Tutto questo non è ancora possibile, perché il coltello dalla parte del manico lo hanno i giocatori, e non lo sarà fino al giorno in cui la Federazione dovrà costantemente inginocchiarsi chiedendo umilmente loro di sostenere anche la causa azzurra. Rappresentare l’Italia al momento non è visto come un motivo di orgoglio, ma come un atto di volontariato. Finché la nostra sarà la Nazionale della carità, non andremo da nessuna parte.